When fools can be kings

Aspettando la cena di stasera con i nostri nuovi amici, oggi abbiamo ufficialmente iniziato i nostri preparativi per il lungo weekend londinese di lavoro e vacanza che ci aspetta per la settimana prossima.

Getting ready

Non sono giornate facili e i miei sonni sono spesso agitati. Ripenso a un aforisma di G.B. Shaw letto la settimana scorsa in un libro che mio zio teneva in bagno… Ricordo che diceva: “When I was a young man I observed that nine times out of ten things I did were failures. I didn’t want to be a failure, so I did ten times more work“.
Le nuove sfide mi mettono sempre un po’ sottosopra ma non vedo mai altra strada che andare avanti a testa bassa con tutta l’ostinazione che ho.

Adesso però pensiamo a cose piacevoli. Ho la pancia piena di strudel di verdure presso in uno strano negozietto tirolese sotto casa e rileggo l’sms di Peppe che si rimette in salute con i 35 gradi di Santiago del Cile prima di affrontare le sfide di Capo Horn.

In fondo, forse, trouble is only opportunity in work clothes.

Schiacciata tirolese al sesamo
Preparativi di Mai per "orzo e verdure"
Chotto che mangia dorayaki (i dolcetti che piaccino a Doraemon)

P.S. Prima di prepararmi ad uscire per stasera ho letto questo passaggio di Montanelli e mi sono ritratto spaventato da quello che ho scritto sopra… Leggete e capirete.

Non è un credo comodo, quello calvinista. Il cattolico conosce, o crede di conoscere, la via salvezza. Se rinnega il mondo – questo regno di Satana –  per sfuggire alle sue tentazioni, è sicuro di entrare nelle grazie di Dio. Al calvinista questi conforti sono negati. Non ha scappatoie. Nessuno può dargli una mano. È solo. Il Giudice al cospetto del quale si trova giorno e notte non gli si rivela per nessun segno né di assoluzione né di condanna. Alla salvezza gli offre una strada sola, che non è la contemplazione e la fuga dal mondo, ma il dovere di fronte al mondo.
Il calvinista (o «puritano» come lo chiamano in Inghilterra) è l’uomo del dovere, cioè del sacrificio: in famiglia, nel lavoro, nella società. Invece di andare a pregare in convento come faceva il suo antenato medievale, perché nella sua morale ciò equivarrebbe a diserzione e la preghiera non serve a nulla, trasforma in convento la sua casa, la sua bottega, la sua corporazione. Ogni sera ha il suo bravo conto da rendere al terribile Dio che lo sorveglia. Deve dimostrargli coi fatti che ha prodotto più di quanto ha consumato, che ha risparmiato più di quanto ha speso, che ha penato più di quanto ha goduto.
È questa religione del lavoro e del risparmio che dà avvio, fornendogli un fondamento morale, al capitalismo nel senso moderno della parola. […]
Votato alla solitudine dalla sua stessa concezione religiosa, represso per tutte le rinunzie che si impone a cominciare da quelle dei sensi, sparagnino fino all’avarizia, intransigente con gli altri come lo è con se stesso, nemico di ogni sfarzo e ostentazione, sempre pronto a infiorare il suo discorso di citazioni bibliche e a giudicare tutto e tutti dall’alto della sua orgogliosa certezza di appartenere agli «unti del Signore», il calvinista è un personaggio di difficile commercio, talvolta francamente sgradevole. Ma rappresenta l’elemento propulsore dell’uomo moderno. È lui che instaura la civiltà del lavoro e dell’efficienza di cui noi stessi siamo figli.

Io, l’ateo figlio dei fiori socratico ed epicureo, mi sto trasformando per sbaglio in protestante-calvinista-puritano?

Non sia mai!!
Mi ribello!
Non mi avranno mai!

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